Riforma della Pubblica Amministrazione al bivio
Bruxelles ordina e Roma esegue: in soldoni sta accadendo questo e la riforma della Pubblica Amministrazione è stata approvata in pieno agosto, “salvata” dalle opposizioni che hanno garantito il numero legale al Senato (145 voti a favore e 97 contrari, nessun astenuto). A seguire arriveranno numerosi decreti attuativi per renderla pienamente operativa.
I provvedimenti meritano attenzione e qualche approfondimento; infatti dietro alla riduzione delle aziende partecipate, molte delle quali saranno liquidate, si celano alcuni disegni ambiziosi, per esempio quello di accorpare aziende con un capitale sociale che permetterebbe loro di partecipare a gare di appalto e bandi europei.
Non esiste alcun bilancio consolidato delle partecipate che hanno permesso la sostanziale privatizzazione di aziende pubbliche legate a risorse comuni, come acqua ed energia, o alla raccolta e smaltimento dei rifiuti.
L’aziendalizzazione ha spesso creato colossi economici a capo dei quali ritroviamo non solo manager del privato, ma anche politici riciclati.
Ma, oltre a queste aziende business, ci sono anche realtà ben diverse, costruite negli anni per aggirare i patti di stabilità degli enti locali: aziende che hanno svolto magari qualche funzione ma sono state – poco o nulla – gestite e controllate dai comuni, accumulando così debiti su debiti.
Già i governi precedenti avevano sancito la liquidazione di aziende comunali giudicate non strategiche (finanziaria 2014), ora il Governo Renzi fa un ulteriore passo verso la dismissione del pubblico, senza dare alcuna certezza occupazionale per le migliaia di lavoratori impiegati, senza spiegare ai cittadini i costi di queste privatizzazioni e gli eventuali benefici dei quali avrebbe dovuto usufruire la cittadinanza (in realtà le tariffe sono state rincarate).
Il ddl pone le basi per l’accorpamento del Corpo Forestale in un’altra forza di polizia (con tutta probabilità i Carabinieri). Si tratterebbe di un trasferimento in blocco e pieno di incognite (come quello della Polizia Provinciale nella Polizia Municipale) e del resto la soppressione delle Province ha già creato numerosi problemi per la manutenzione del verde, delle strade e degli immobili scolastici; immaginiamoci allora il ridimensionamento della Forestale quale conseguenze potrebbe riservare per gli equilibri e i controlli ambientali. Sembra l’ennesima cambiale politica pagata a quel partito del cemento che imperversa per accaparrarsi sempre piu’ poteri e spazi speculativi.
Ci sono poi tagli poderosi alla sanità, basti ricordare che dietro il numero unico per le emergenze si cela il ridimensionamento di numerosi servizi . Vediamo le principali novità:
- taglio di 2,3 miliardi di euro nel 2015 e di altrettanti nel 2016 e nel 2017
- visite specialistiche, esami strumentali, esami di laboratorio, naturalmente risultanti da impegnativa del proprio medico, potranno essere giudicati (sulla base di criteri decisi dal Ministero) non necessari (“non appropriati”, dice il governo) e, come tali, non ammessi, se non a pagamento totale a carico dell’utente;
- ricoveri per riabilitazione: anche qui stessa musica, cioè pagamento a carico dell’utente per i giorni in più rispetto a quelli previsti dal Ministero;
- controlli e punizioni per quei medici di famiglia che non si atterranno ai criteri stabiliti dal Ministero. Così impareranno a fare i medici responsabili dei bisogni dei loro assistiti e assistite!
- servizi affidati in appalto: riduzione delle risorse da destinare alle imprese appaltatrici, con ricadute sul monte ore complessivo di lavoro e guai seri per l’occupazione, per le retribuzioni, per la qualità del servizio (si pensi ai lavori di pulizia e di sanificazione negli ospedali);
- ospedali: con la chiusura di quelli piccoli, con l’azzeramento dei ricoveri in quelli con meno di 40 posti letto, con la riduzione dei posti letto negli altri, dei giorni di degenza, delle ospedalizzazioni, della rete ospedaliera complessiva, i giochi sono fatti per una sistematica riduzione del personale, che -in compenso!- si vedrà ridotti i fondi per la contrattazione aziendale.
Ad oggi le liste di attesa per visite e terapie sono sempre piu’ lunghe, ma invece di far funzionare la sanità pubblica rafforzeranno le strutture private in convenzione. Il business della sanità privata fa del resto gola e consente la circolazione di capitali ragguardevoli.
Ci sono poi aspetti preoccupanti come la licenziabilità dei dirigenti, che potranno salvare il posto accettando il ridimensionamento al ruolo di funzionari, e che per non essere licenziati saranno magari disposti ad assecondare lo strapotere dei politici. Quanto tocca oggi loro ben presto riguarderà il restante personale della Pubblica amministrazione, con mobilità coatte che già si stanno sperimentando con gli esuberi nelle Province.
La riforma della PA è costruita su tagli, ma anche sull’aggiramento dei patti di stabilità, e ad un occhio poco critico potrebbe apparire come una legge innovativa rispetto al passato. Nella sostanza, pur allargando le maglie occupazionali per la proroga dei contratti precari nelle Province e nelle città metropolitane che hanno sforato il patto di stabilità, pur prevedendo qualche assunzione nelle scuole di infanzia nonché un emendamento per i lavoratori socialmente utili calabresi, contiene anche e soprattutto tagli alla sanità di oltre 2,3 miliardi di euro, la chiusura di numerose aziende senza certezze per chi vi lavora, la rinegoziazione al ribasso dei contratti per la fornitura di servizi e beni per la pubblica amministrazione, insomma una scure lanciata contro appalti già all’osso dove lavoratrici e lavoratori operano con contratti da fame e carichi di lavoro sempre meno sostenibili e sempre più ricattabili e privati dei diritti.
La riforma della Pa è quindi una manovra furbesca, che non investe nei servizi pubblici ma attacca frontalmente il sistema sanitario pubblico e il sistema pubblico di erogazione dei servizi in forma diretta o in appalto, rinviando di un anno il rinnovo dei contratti pubblici e i necessari investimenti occupazionali che compensino almeno in parte la perdita di 500 mila posti di lavoro avvenuti nell’arco di pochi anni.